Il governo Meloni lavora a una modifica del Reddito di cittadinanza, ma la “sintesi” tra le diverse proposte deve essere ancora trovata. “Costa circa 10 miliardi all’anno, se una parte di quei soldi fossero dati alle imprese per ridurre il costo del lavoro avremmo molti posti di lavoro in più e anche lavori più dignitosi dal punto di vista della retribuzione”, ha affermato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, ospite di La7, all’Aria che tira.
Il ministro Ciriani
“Parleremo dei dettagli tecnici quando ci sarà una proposta formale, per il momento – ha spiegato Ciriani – è solo una ipotesi di cui non si è parlato né in Cdm né in Parlamento. È chiaro però che l’obiettivo politico che ci siamo posti è una riforma radicale del RdC, che è misura di carattere elettorale, non ha creato un solo posto di lavoro, ha creato grandi difficoltà agli imprenditori, ha condannato una intera generazione a restare a casa con lo stipendio di Stato in cambio di un voto”. Per il ministro “c’è la necessità fondamentale di rivedere questa misura, facendo molta attenzione. Chi non può lavorare deve essere aiutato anche di più di quanto non si aiuti adesso: anziani, disabili, persone con grandi invalidità. Chi può lavorare lo deve fare. Una misura di carattere sociale esiste in tutti i Paesi del mondo ma il Rdc non è misura di carattere sociale, è una misura di carattere assistenziale”.
Caccia ai fondi contro il carto bollette
Da una modifica della misura il governo punta a recuperare fondi da investire nei sostegni contro il caro energia. “Se attraverso una serie di controlli e di misure si riesce a reperire un miliardo, questi verranno messi prioritariamente a beneficio del caro bollette – ha detto il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo –. In questa fase interveniamo con meccanismi di controllo, che ci possono generare questo flusso di un miliardo, che potranno essere utilizzati nella prossima legge di bilancio”.
Lega più ‘morbida’
Il Reddito di Cittadinanza non sarà a vita ma sarà rinnovabile per periodi sempre più brevi e con un assegno a scalare. Inoltre chi rifiuterà anche una sola offerta “congrua” di lavoro (oggi il limite è di due) perderà il sussidio. Questa – come riporta il Corriere della Sera – la proposta del sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon. La proposta della Lega, secondo il sottosegretario, “è più morbida di altre che circolano nella coalizione, ma si muove nello stesso solco” e il punto di partenza è che “il sussidio non può essere a vita. Va fissato un termine oltre il quale non si può andare, un pò come con la Naspi”, l’indennità di disoccupazione. Un percorso “ragionevole”, secondo Durigon, “prevede, dopo i primi 18 mesi di Reddito, che si possa andare avanti al massimo per altri due anni e mezzo, ma con un décalage”.
In sostanza dopo i primi 18 mesi, se la persona non ha trovato un lavoro, viene sospesa dal sussidio e inserita per sei mesi in un percorso di politiche attive del lavoro. Se dopo 6 mesi la persona è ancora senza lavoro, potrebbe ottenere di nuovo il Rdc, “ma con un importo tagliato del 25% e una durata ridotta a 12 mesi”, durante i quali continuerebbe a fare formazione. Se anche dopo questo periodo il beneficiario non è entrato nel mercato del lavoro, verrà sospeso per altri sei mesi, passati i quali potrà chiedere per l’ultima volta il Rdc, questa volta “solo per sei mesi e per un importo decurtato di un altro 25%. Prenderà cioè la metà di quanto prendeva all’inizio”. La riforma prevederà poi che si decade dal diritto al reddito anche rifiutando una sola offerta congrua di lavoro, oggi sono due. Da questa stretta verrebbe colpito “un percettore su tre del Rdc”, dice Durigon. Infine, c’è il versante dei controlli. “Pensiamo – dice il sottosegretario – che il sistema non debba più essere gestito centralmente dall’Inps ma sul territorio dai Comuni, che conoscono meglio le reali situazioni di povertà”.
Il ministro del Lavoro
“Sono le posizioni della Lega, poi il mio compito è quello di fare sintesi” ha affermato il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, commentando la proposta di stop al reddito di cittadinanza dopo la prima offerta di lavoro rifiutata lanciata da Durigon.
Attualmente sono tre i fattori che vengono considerati per definire un’offerta congrua: la coerenza tra l’offerta di lavoro e le esperienze e competenze maturate; la distanza del luogo di lavoro dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico; la durata della fruizione del beneficio. “Rispetto alla distanza del luogo di lavoro – spiega il ministero del Lavoro – è congrua un’offerta entro 80 chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario o comunque raggiungibile in cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici”, questo se si tratta di una prima offerta. Se, invece, si tratta di una seconda offerta può essere “collocata ovunque nel territorio italiano”. “In caso di rinnovo del beneficio – prosegue il ministero – è congrua un’offerta in qualsiasi parte del territorio italiano, anche nel caso di prima offerta. In caso di rapporto di lavoro a tempo determinato o a tempo parziale, l’offerta è congrua quando il luogo di lavoro non dista più di ottanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario o è comunque raggiungibile nel limite temporale massimo di cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici, in caso sia di prima sia di seconda offerta”.
Se, però, nel nucleo familiare sono presenti persone con disabilità i conti cambiano: la distanza non può eccedere i 100 chilometri dalla residenza del beneficiario. Così come se nel nucleo familiare sono presenti figli minori “anche qualora i genitori siano legalmente separati – precisa il ministero – non operano le disposizioni previste in caso di rinnovo del beneficio. Queste particolari deroghe operano solo nei primi ventiquattro mesi dall’inizio della fruizione del beneficio, anche in caso di rinnovo”.