Il reddito di cittadinanza è ormai sotto attacco. Molti italiani si chiedono che fine possa fare dopo l’insediamento del governo Meloni. Non è un segreto che alla coalizione di maggioranza la misura di sostegno introdotta nel 2019 contro la povertà non sia mai piaciuta, almeno così come è stata ideata. Difficile pensare a una sua abolizione definitiva, ma sono attese pesanti modifiche strutturali. Vediamo allora come il sussidio economico potrebbe cambiare con il nuovo esecutivo.

Addio al reddito di cittadinanza? La posizione di Meloni

Nel suo discorso programmatico alla Camera dei deputati in occasione del voto di fiducia, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito quanto già affermato nel corso della campagna elettorale: “La povertà non si combatte con l’assistenzialismo” (qui abbiamo spiegato cosa farà su pensioni e flat tax).

Secondo la premier, la misura di sostegno economico deve essere mantenuta, e possibilmente migliorata, per tutti i soggetti che non sono nelle condizioni di poter lavorare: una categoria da tutelare, che comprenderebbe disabili, over 60 e nuclei familiari con minori a carico. Ma per coloro che invece un lavoro sono in grado di farlo, “la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza”.

Finora il sussidio di contrasto alla povertà, ha affermato Meloni, ha rappresentato “una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia, oltre che per se stesso e per la sua famiglia”.

Qui abbiamo riportato nei dettagli il discorso della premier sul reddito di cittadinanza.

Le ipotesi sulle modifiche

A finire sotto i riflettori è dunque chi fino ad oggi ha percepito il reddito di cittadinanza pur essendo nelle condizioni di lavorare. Ma quali provvedimenti potrebbe intraprendere il governo Meloni? Le ipotesi sono diverse.

Mantenendo il sussidio valido solo per i soggetti più fragili, le risorse in eccesso potrebbero essere destinate ad altre misure, come quelle legate alle pensioni e al taglio del cuneo fiscale (qui abbiamo spiegato cos’è il cuneo fiscale e quanto incide sullo stipendio). Ma non è ancora certo che il reddito di cittadinanza sarà tolto a tutti gli altri attuali percettori: almeno inizialmente si propenderebbe infatti per stabilire maggiori obblighi e restrizioni.

La volontà sarebbe quella di ridurre il numero di volte in cui è possibile rifiutare un’offerta di impiego, prima di perdere la misura di sostegno economico (ad oggi il non sono concessi più di due “no”). Ma si starebbe valutando anche di modificare i criteri che definiscono se una proposta di lavoro è “congrua” (oggi per essere ritenuta tale non deve superare gli 80 chilometri di distanza dal luogo della residenza).

In ogni caso, tra le possibili misure dell’esecutivo a favore di chi è “occupabile”, e appartenente quindi alla fascia di età 18-60 senza minori a carico, dovrebbe esserci l’incentivo ai corsi di formazione o aggiornamento e all’accompagnamento alle varie professioni.

Reddito di cittadinanza, cosa dicono i dati

Stando alle stime relative al reddito di cittadinanza, nei primi nove mesi dell’anno l’Inps ha erogato complessivamente 6 miliardi di euro. I nuclei destinatari di almeno una mensilità sarebbero stati poco più di 1 milione e mezzo, con circa 3 milioni di persone coinvolte e un importo medio mensile erogato di circa 580 euro.

Prendendo come riferimento invece l’intero periodo del sussidio, ossia da aprile 2019 a settembre 2022, la spesa totale dello Stato avrebbe superato i 25 miliardi di euro.

I calcoli di Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, aggiornati al 30 giugno, indicano che i percettori considerati in grado di lavorare sono tra gli 800mila e i 900mila. Ed è questa la platea su cui il governo Meloni starebbe pensando di intervenire.